mercoledì 29 dicembre 2010

La peggiore legge di controriforma dell'Università mai pensata e scritta nella storia d'Italia è stata approvata dal peggiore governo della Repubblica. Tutto si tiene. Questa legge vergognosa reca la firma di una sedicente ministra che con il mondo della ricerca e dell'insegnamento universitario c'entra quanto il capo del suo governo con la democrazia e con la Costituzione. E' un giorno nero per coloro che amano questo Paese, e soprattutto per i giovani che avrebbero il diritto di costruirsi quel futuro che viene loro da molti anni sequestrato. Si è persa un'altra battaglia cruciale.
La destra italiana - la destra sociale, prima ancora di quella politica che la rappresenta e ne serve gli interessi - mette al sicuro un altro tassello della devastazione sociale e politica in corso da un ventennio. Se un rimprovero va rivolto a quanti hanno cercato di contrastare questa «riforma» è che la lotta è partita in ritardo. Sono due anni - dalla finanziaria del 2008 - che il governo lavora con determinazione per questo esito. Ci si doveva muovere prima, e non lo diciamo certo agli studenti e ai ricercatori precari, che hanno avuto comunque il merito di mobilitarsi in massa e di imporre la questione della scuola e dell'università pubblica all'attenzione generale. Rivolgiamo questa critica al grosso del corpo docente, che anche in questo caso si è dimostrato inconsapevole e passivo. E soprattutto alle forze politiche dell'opposizione parlamentare, che anche su questa materia hanno lasciato che il governo facesse e disfacesse a proprio piacimento.
Che cosa sarà l'Università italiana quando la legge andrà in vigore? La ministra spande a piene mani bugie sin dall'inizio dell'iter del provvedimento. Ha imparato la lezione del suo mentore, consapevole che in un Paese senza opinione pubblica la menzogna è lo strumento fondamentale della politica. Ma la verità è semplice. Sarà una Università riservata a chi ha molti soldi, perché gli atenei alzeranno le tasse per quadrare bilanci sempre più poveri, e perché la legge riduce ai minimi termini le provvidenze per il diritto allo studio. Sarà un luogo di lavoro precario, perché quei pochi fortunati che riusciranno a conquistare un posto di ricercatore a tempo determinato saranno mandati a casa dopo sei anni al massimo, in quanto gli atenei non avranno i fondi per bandire posti di professore associato. E sarà un luogo di frustrazione e di risentimento, perché alla massa dei ricercatori oggi in ruolo si nega qualsiasi possibilità di accesso alle fasce docenti.
Ma il cuore nero della legge è la trasformazione della struttura istituzionale degli atenei, della loro cosiddetta governance.


Questa legge non è stata scritta dalla ministra Gelmini, che non saprebbe mettere insieme nemmeno cinque righe dotate di senso. E' il frutto della collaborazione tra il ministro dell'Economia, i rettori della Crui e l'Ufficio studi della Confindustria. Ed è il frutto della propaganda del Corriere della sera che, dopo avere sostenuto a spada tratta la «riforma», ieri con sfrontata ipocrisia piangeva sulle sorti della ricerca italiana chiedendo risorse per i ricercatori che «ogni giorno fanno funzionare i nostri atenei». Al di là delle belle parole, la legge realizza una privatizzazione strisciante dell'Università. Che rimarrà pubblica nei costi, ma servirà a produrre benefici e risorse per i privati. I consigli di amministrazione saranno in mano a soggetti esterni: imprenditori e politici, che decideranno a costo zero dove destinare le risorse degli atenei.
Non è difficile prevedere che ne discenderà l'agonia della ricerca scientifica di base e delle facoltà umanistiche. I rettori potranno governare in modo ancor più autoritario di quanto già non facciano. E il governo, al quale spetta la nomina dell'Agenzia per la valutazione della ricerca, stabilirà chi premiare e chi discriminare, cancellando con un tratto di penna la libertà della ricerca e dell'insegnamento che, pure, la Costituzione sancisce. In una parola, è il de profundis dell'Università pubblica. Nemmeno il fascismo aveva osato altrettanto.
Restano da dire due cose, perché il quadro sia completo. La prima è che anche su questo terreno la destra dimostra di avere idee chiare. L'Università che nasce oggi non è un fuor d'opera, è coerente con il modello sociale complessivo che giorno dopo giorno prende forma sullo sfondo della crisi prodotta dal capitalismo neoliberista. Se la Costituzione antifascista disegna l'immagine di una democrazia progressiva, fondata sulla centralità del lavoro e sul principio di uguaglianza, le forze oggi dominanti realizzano il programma piduista di una oligarchia fondata sulla precarietà e la povertà del lavoro e sul razzismo. Per un Gasparri che incita alla violenza e sogna il ripetersi della mattanza di Genova, ci sono cento Sacconi che sputano fiele sul «nichilismo degli anni Settanta» e celebrano l'inverarsi della «rinascita democratica» invocata da Gelli, Berlusconi e Cicchitto. Ma anche le forze del centrosinistra hanno gravi responsabilità, per la mancata opposizione di questi mesi e per le scelte compiute a partire dagli anni Novanta. La privatizzazione dell'Università, la legge sull'autonomia che ha trasformato le università in aziende, l'idea delle Fondazioni universitarie, l'apertura dei consigli di amministrazione alle imprese, lo strapotere dei rettori, la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori, tutto questo è farina del sacco dei partiti che hanno dato vita al Pd.
Non basta votare contro una legge per cancellare le proprie scelte sbagliate. Non basta l'ostruzionismo del giorno dopo per proclamarsi immuni da colpe. Purtroppo non c'è solo la firma della destra in calce a questa pagina vergognosa.

Alberto Burgio

sabato 11 dicembre 2010


SERATA IN RICORDO DEL COMPAGNO
MARIO MONICELLI
"I COMPAGNI"

di MARIO MONICELLI

de L’azione è ambientata alla fine del diciannovesimo secolo, in un'industria tessile torinese. Un grave incidente è la scintilla che fa scoppiare le proteste operaie contro le inumane condizioni di lavoro. Gli operai decidono di compiere un gesto dimostrativo, a seguito del quale si organizzano e grazie all’aiuto di un professore giunto tra loro, la protesta si trasformerà in un durissimo sciopero…

dirit

15 DICEMBRE 2010 ORE 20.30

SALA CANTIERE COMUNALE - VIALE DELL’INDUSTRIA

PERGINE VALSUGANA

SEGUE DIBATTITO CON:

SEBASTIANO PIRA SLAI COBAS del TRENTINO

CARLO PARIS: GIOVANE FILMAKER


INGRESSO LIBERO

IN RICORDO DI UN RIVOLUZIONARIO

Monicelli ha deciso di non essere più in mezzo a noi. Attraverso il cinema questo esile e grande uomo, con dignità e senso dell’umorismo, si è battuto sempre per la giustizia e l’uguaglianza. Ha parlato di guerra, di amicizia, di comunismo, di storia, di femminismo, e ancora pochi mesi fa di “rivoluzione”. Il suo sguardo è sempre stato quello degli umili, di chi combatte.
Per questo non bisogna essere particolarmente colti o appassionati di cinema per amare questo grande regista. La rassegnazione di Capannelle che si mette a mangiare pasta e ceci dopo aver sbagliato a fare il buco nel muro, ne I soliti ignoti, ce la ricordiamo tutti. Così come tutti ci ricordiamo della simpatia e della forza vitale di Monica Vitti, ne La ragazza con la pistola. O della disperazione di Alberto Sordi quando, in Un borghese piccolo piccolo, vede morire il figlio a causa di una rapina.
Ha fatto tanti film Mario Monicelli e ha saputo non solo raccontare questa nostra Italia ma ne ha sottolineato i tratti, evidenziato le caratteristiche. Monicelli ha saputo produrre arte di altissimo livello attraverso la trasposizione in vite vissute delle caratteristiche della nostra gente. C’è molta più comprensione dell’Italia in molti suoi film che in tanti trattati sociologici.Ci piace pensare che Monicelli ha saputo fare questo proprio perché comunista, perché rivoluzionario. Monicelli non era un regista e poi un comunista. Egli ha fuso insieme questi due termini, da un lato assumendo un particolare punto di osservazione del mondo - dal basso - e dall’altro ponendo il problema del trascendimento della realtà qui ed ora, della ribellione. «La speranza, diceva, è una trappola inventata dai padroni. Bisogna avere il coraggio di ribellarsi... e cercare il riscatto che in Italia non c’è mai stato».
Vi è in questa frase una forza enorme; un comunismo non ridotto a pratica religiosa della speranza nel futuro ma, al contrario, il comunismo vissuto come urgenza del cambiamento qui ed ora. Il coraggio di ribellarsi è quella scintilla, quello scarto, che ci parla della possibile costruzione di una soggettività non inscritta nel dominio di quelli che lui giustamente chiamava padroni. L’antipatia per il potere, per l’arroganza, per la sopraffazione, per il cinismo e un interesse vero per tutto ciò che riguardi la dignità umana. Lo stesso senso della dignità umana che l’ha portato probabilmente a togliersi la vita pur di non finire, malato, a dover dipendere da chissà quale meccanismo medico.
Lo vogliamo ricordare così, comunista non pentito, che ci ha accompagnato con i suoi film, ci ha onorati con la sua iscrizione a Rifondazione e con il sostegno nelle campagne elettorali. Grazie Mario, per quello che sei stato e per quello che hai fatto.

Paolo Ferrero

Segretario di Rifondazione Comunista


diritti.