mercoledì 18 maggio 2011

martedì 17 maggio 2011


Il nazismo sterilizzò e poi sterminò con la complicità di medici, infermieri, burocrati, ostetrici e psichiatri almeno 400 mila handicappati,
disabili, ritardati mentali e pazzi con lo scopo di «purificare il sangue della nazione» e per risparmiare nel bilancio della sanità su
persone considerate improduttive, considerate vite indegne di essere vissute.
La testimonianza diretta*:
«La Fiaccolata della memoria è utile per ricordare quel fatto, io c'ero, li ho sentiti e visti. Oggi la storia viene rifatta,
invece io posso raccontarla per far conoscere quanto è accaduto». Dopo molti anni di silenzio tombale, ora c'è chi testimonia
l'uscita dei 299 pazienti dal manicomio di Pergine Valsugana, diretti Oltrebrennero.
È Emilio Loss , 88 anni ben portati. Nel soggiorno di casa sua, alle Torri di Villazzano, rammenta con lucidità quel gruppo di donne e
uomini accompagnati da personale d'assistenza. Il loro breve cammino in centro città, il 26 maggio 1940. Uscirono dagli edifici
manicomiali per imboccare via Battisti, procedendo in viale Alpini e viale Dante fino alla stazione ferroviaria. Poi tutti sul treno, diretti in
Germania. Tornarono in pochi. Loss era a Pergine Valsugana, giovane sergente del 61° reggimento di fanteria «Trento» di stanza nelle
caserme Diaz del capoluogo provinciale. Era volontario, nato povero a Caoria in Primiero, la divisa gli era sembrata una possibilità di
sopravvivenza.
A Pergine era alloggiato assieme ad un battaglione in un capannone dismesso di un'azienda di imballaggi a ridosso del campo sportivo
di viale Dante. «In un tardo pomeriggo di maggio, era il 1940, abbiamo visto sui binari della stazione ferroviaria due vagoni con le
finestre sbarrate, come i cellulari che trasportano i detenuti. Guardammo con curiosità. La gente del posto ci disse che trasportavano i
matti di lingua tedesca, quelli delle famiglie che avevano optato per andare in Germania». Delle opzioni Loss sapeva, lo racconta,
ricorda che la cosa allora faceva molto discutere. Torna in caserma con i suoi compagni. «Al mattino dopo, eravamo ancora a letto ed
era buio, sentiamo lo scalpiccio in strada di molte persone, donne ed uomini ed un vocio come di scolari alla ricreazione». Sono i
pazienti del manicomio, una volta tanto fuori dai recinti, oltre le sbarre ed i muri di perimetrali ai padiglioni in cui erano reclusi. «Mi
sembravano contenti, forse credevano di fare un bel viaggio, era una frotta di gente, come un gregge di pecore liberate dal recinto,
venivano da dietro la chiesa (da via Battisti, dietro la parrocchiale della Natività, ndr), poi sono scesi lungo il viale centrale e la statale
(viale Dante allora lo era, ndr). Dopo un po' abbiamo guardato verso la stazione. I due vagoni non c'erano più».
Non erano pecore ma persone, liberate per un po', di notte, ignare della sorte che le attendeva. Per loro avevano deciso altri.
Ripensandoci anni dopo, Emilio Loss ha capito e quanto accaduto è impresso a fuoco nella sua memoria. Ne ha scritto, il ricordo è
all'interno di otto fascicoli manoscritti in cui racconta la sua vita e la sua esperienza in divisa. Il titolo: «Memorie inutili di un
ottuagenario», iniziate nel 2000. Vita ricca di esperienze.
Ricorda la Tesero deserta nel giorno del discorso del Duce con l'annuncio dell'entrata in guerra. «Non c'era nessuno in strada, sole le
scuole e noi. E la banda militare nelle vie. Fu una chiara protesta silenziosa». Poi lo spediscono in Africa, in prima linea. Durante la
battaglia di El Alamein viene catturato e rimane in prigionia (inglese) fino al 1946. Tre anni dopo torna a Caoria e dal 1954 al 1973 è
segretario comunale di Canal San Bovo.
La guerra cos'è?
Una cosa tremendamente stupida: puoi vedere trincee fatte con sacchi di farina mentre noi crepavamo di fame. Ci aveva
allattati il fascismo, Hitler ci veniva descritto come un dio, capimmo dopo che quella era una banda di delinquenti!
* TESTIMONIANZA DIRETTA DI EMILIO LOSS TRATTA DALL'INTERVISTA DI MARIO ANELLI (ADIGE DEL 22 MAGGIO 2008)