La peggiore legge di controriforma dell'Università mai pensata e scritta nella storia d'Italia è stata approvata dal peggiore governo della Repubblica. Tutto si tiene. Questa legge vergognosa reca la firma di una sedicente ministra che con il mondo della ricerca e dell'insegnamento universitario c'entra quanto il capo del suo governo con la democrazia e con la Costituzione. E' un giorno nero per coloro che amano questo Paese, e soprattutto per i giovani che avrebbero il diritto di costruirsi quel futuro che viene loro da molti anni sequestrato. Si è persa un'altra battaglia cruciale.
La destra italiana - la destra sociale, prima ancora di quella politica che la rappresenta e ne serve gli interessi - mette al sicuro un altro tassello della devastazione sociale e politica in corso da un ventennio. Se un rimprovero va rivolto a quanti hanno cercato di contrastare questa «riforma» è che la lotta è partita in ritardo. Sono due anni - dalla finanziaria del 2008 - che il governo lavora con determinazione per questo esito. Ci si doveva muovere prima, e non lo diciamo certo agli studenti e ai ricercatori precari, che hanno avuto comunque il merito di mobilitarsi in massa e di imporre la questione della scuola e dell'università pubblica all'attenzione generale. Rivolgiamo questa critica al grosso del corpo docente, che anche in questo caso si è dimostrato inconsapevole e passivo. E soprattutto alle forze politiche dell'opposizione parlamentare, che anche su questa materia hanno lasciato che il governo facesse e disfacesse a proprio piacimento.
Che cosa sarà l'Università italiana quando la legge andrà in vigore? La ministra spande a piene mani bugie sin dall'inizio dell'iter del provvedimento. Ha imparato la lezione del suo mentore, consapevole che in un Paese senza opinione pubblica la menzogna è lo strumento fondamentale della politica. Ma la verità è semplice. Sarà una Università riservata a chi ha molti soldi, perché gli atenei alzeranno le tasse per quadrare bilanci sempre più poveri, e perché la legge riduce ai minimi termini le provvidenze per il diritto allo studio. Sarà un luogo di lavoro precario, perché quei pochi fortunati che riusciranno a conquistare un posto di ricercatore a tempo determinato saranno mandati a casa dopo sei anni al massimo, in quanto gli atenei non avranno i fondi per bandire posti di professore associato. E sarà un luogo di frustrazione e di risentimento, perché alla massa dei ricercatori oggi in ruolo si nega qualsiasi possibilità di accesso alle fasce docenti.
Ma il cuore nero della legge è la trasformazione della struttura istituzionale degli atenei, della loro cosiddetta governance.
Non è difficile prevedere che ne discenderà l'agonia della ricerca scientifica di base e delle facoltà umanistiche. I rettori potranno governare in modo ancor più autoritario di quanto già non facciano. E il governo, al quale spetta la nomina dell'Agenzia per la valutazione della ricerca, stabilirà chi premiare e chi discriminare, cancellando con un tratto di penna la libertà della ricerca e dell'insegnamento che, pure, la Costituzione sancisce. In una parola, è il de profundis dell'Università pubblica. Nemmeno il fascismo aveva osato altrettanto.
Restano da dire due cose, perché il quadro sia completo. La prima è che anche su questo terreno la destra dimostra di avere idee chiare. L'Università che nasce oggi non è un fuor d'opera, è coerente con il modello sociale complessivo che giorno dopo giorno prende forma sullo sfondo della crisi prodotta dal capitalismo neoliberista. Se la Costituzione antifascista disegna l'immagine di una democrazia progressiva, fondata sulla centralità del lavoro e sul principio di uguaglianza, le forze oggi dominanti realizzano il programma piduista di una oligarchia fondata sulla precarietà e la povertà del lavoro e sul razzismo. Per un Gasparri che incita alla violenza e sogna il ripetersi della mattanza di Genova, ci sono cento Sacconi che sputano fiele sul «nichilismo degli anni Settanta» e celebrano l'inverarsi della «rinascita democratica» invocata da Gelli, Berlusconi e Cicchitto. Ma anche le forze del centrosinistra hanno gravi responsabilità, per la mancata opposizione di questi mesi e per le scelte compiute a partire dagli anni Novanta. La privatizzazione dell'Università, la legge sull'autonomia che ha trasformato le università in aziende, l'idea delle Fondazioni universitarie, l'apertura dei consigli di amministrazione alle imprese, lo strapotere dei rettori, la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori, tutto questo è farina del sacco dei partiti che hanno dato vita al Pd.
Non basta votare contro una legge per cancellare le proprie scelte sbagliate. Non basta l'ostruzionismo del giorno dopo per proclamarsi immuni da colpe. Purtroppo non c'è solo la firma della destra in calce a questa pagina vergognosa.