mercoledì 19 gennaio 2011

Vi segnaliamo questi 2 editoriali di Liberazione dopo il referendum di Mirafiori

Uomini in carne e ossa di Antonio Gramsci

Questo articolo si riferisce agli avvenimenti della primavera 1921, quando a Torino, in seguito all'annunciato licenziamento di più di mille operai, le maestranze Fiat e Michelin entrano in sciopero. Gli industriali rispondono con la serrata degli stabilimenti e l'agitazione si conclude, agli inizi di maggio, con la sconfitta delle organizzazioni sindacali e il licenziamento di più di 3.500 lavoratori
Antonio Gramsci
Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne e ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana.
Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano ridotti e non erano più sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese.
Erano completamente isolati dalla nazione, immersi in un ambiente generale di stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per un mese.
Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c'è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare a una massa di uomini che è aggredita dalle più dure necessità dell'esistenza, che ha la responsabilità dell'esistenza di una popolazione di 40.000 persone, non si può domandare più di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere più oltre o di reagire.
Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese.
Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato; si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno fame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne.
Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili a una visione più reale, a una pratica più congrua e più adeguata allo svolgersi degli avvenimenti. Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui; oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente. La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi.
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti.
(da "L'Ordine Nuovo", 8 maggio 1921)

A Marchionne un no chiaro ed inequivocabile

di Giorgio Cremaschi

Con le lacrime agli occhi, di gioia stavolta, i lavoratori italiani hanno accolto il voto di Mirafiori. Al di là di qualche piccolo escamotage dell'ultima ora oramai è chiaro che la maggioranza degli operai non ha detto sì a Marchionne e che la netta maggioranza di coloro che subiscono il più duro attacco alle condizioni di lavoro, gli addetti ai montaggi e alla lastroferratura ha detto un no chiaro ed inequivocabile. Il sì passa sostanzialmente per la valanga di voti favorevoli degli impiegati che, come da tradizione in Fiat, hanno deciso che era giusto che gli operai lavorassero a condizioni che essi non subiranno mai.
La portata immediata di questo voto è enorme. Questo vuol dire che il disegno di Marchionne di cancellare la libertà e l'autonomia del lavoro in fabbrica è, allo stato attuale, privo del consenso e della forza necessaria per affermarsi. Le tante mosche cocchiere politiche e sindacali possono anche affrettarsi a dire che ha vinto il sì, ma Marchionne sa perfettamente di avere perso. Ora si apre la via per mettere in discussione questo accordo. C'è il tempo necessario anche perché ai lavoratori a cui è stata chiesta una rinuncia preventiva a tutto, spetta ancora un anno di cassaintegrazione. Altro che i 3.500 euro in più.
Bisogna costruire una risposta sindacale, politica e giuridica, vista la quantità di violazioni di leggi e diritti che sono contenuti nelle clausole capestro dell'accordo. Ma ancora più grande è la portata di fondo di questo voto. Il no degli operai di Mirafiori ci dice che la politica del lavoro usa e getta, la negazione di piani industriali seri e credibili, l'assenza di reali programmi per il futuro, non possono più essere spacciati come la modernità che risolve la crisi.
Si è creato lo spazio oggi per costruire un programma economico e sociale alternativo a quello di Marchionne e del liberismo selvaggio e per sostenerlo con un grande movimento di lotta.
Il no degli operai di Mirafiori parla a tutto il mondo del lavoro che non vuol più piegare la testa, parla ai giovani e agli studenti, a tutti i movimenti. Questo no dice a tutti che è possibile respingere il ricatto e incrinare quel regime di ingiustizie e sopraffazione che solo sul ricatto fonda la sua forza. Il no degli operai di Mirafiori parla alla Cgil e le chiede con chiarezza di mettersi a fianco di tutti i movimenti di lotta e di programmare finalmente quello sciopero generale che è oramai nell'ordine delle cose. Infine questo no parla alla politica. Le anime morte della sinistra che hanno spiegato al mondo che come operai di Mirafiori avrebbero votato sì, oggi si identificano solo con il voto degli impiegati. La sinistra che non capisce più gli operai e la questione sociale e che si innamora di ogni Marchionne che le vende modernità a basso costo, ha finito il suo percorso nel nostro Paese. Gli operai di Mirafiori chiedono di essere rappresentati da altro.
Infine è giusto che tutti e tutte noi ringraziamo i militanti della Fiom e del sindacalismo di base, le loro Rsu che a Mirafiori, contro tutto il regime mediatico e tutte le intimidazioni, hanno creduto in questa battaglia. Certo grandi sono i meriti della Fiom, e provo orgoglio nel ricordarli. Ma so anche che il merito principale di questa organizzazione è quello di essere in sintonia con quella parte crescente del nostro Paese che non ha più voglia di piegare la testa e che considera che il regime del ricatto nel nome del profitto non sia più socialmente e moralmente tollerabile.
Così il no degli operai di Mirafiori accompagna un'altra grande buona notizia. Il successo della prima rivoluzione del ventunesimo secolo: quella dei giovani e degli operai tunisini che hanno travolto la dittatura che li opprimeva. Proprio in queste settimane la Tunisia, assieme alla Serbia, era diventata uno di quei paesi utilizzati per spiegare agli operai italiani che debbono rinunciare a tutto altrimenti lì va a finire il loro lavoro. Come si vede anche questi ricatti alla fine hanno una prospettiva corta perché tutto il mondo comincia a ribellarsi al supersfruttamento dell'economia globalizzata. E proprio in questi giorni, anche in Serbia, gli operai stanno scioperando contro i ricatti della Fiat. Grazie operai e operaie di Mirafiori, con voi oggi ci sentiamo tutti più liberi e un po' più forti. Ci ritroveremo subito tutti assieme in piazza il 28 gennaio.

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